AUDIZIONE CONFAPI SU REDDITO DI CITTADINANZA E PENSIONI

Senato della Repubblica
Roma, 4 febbraio 2019

Confapi ringrazia il Presidente dell’11^ Commissione Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato della Repubblica, Onorevole Nunzia Catalfo, per l’invito a partecipare all’odierna audizione in cui la Confederazione può esprimere le proprie valutazioni sulla conversione del decreto legge in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni.

Noi di Confapi, che dal 1947 tuteliamo e promuoviamo la crescita delle piccole e medie industrie private che a tutt’oggi sono la colonna portante del sistema produttivo del Paese, partiamo dal presupposto che il lavoro lo crea l’industria.
Non siamo certo contrari all’introduzione di misure di sostegno in favore delle fasce più deboli, ma siamo convinti che sia prioritario creare opportunità di lavoro per i giovani, sostenere le imprese senza gravare ulteriormente la spesa pubblica e adeguando a criteri ancor più innovativi sia il sistema di welfare sia quello previdenziale.
Riteniamo altresì indispensabile mettere al centro delle politiche attive chi il lavoro lo crea. Noi piccoli industriali siamo ogni giorno dalla parte del lavoro, quello serio e rispettoso della persona.
Le nostre piccole e medie industrie sono un modello non soltanto industriale ed economico, ma anche culturale e sociale: centro di aggregazione nella quale l’imprenditore svolge anche una funzione importante all’interno del territorio di appartenenza in termini di conoscenza dei fabbisogni, delle specificità, del mercato del lavoro non solo locale.

Anche per questi presupposti, per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, ritenevamo che fosse utile impiegare il 50% delle risorse destinate al finanziamento della misura a favore delle imprese che decidono di formare, per 3 anni, i giovani potenziali beneficiari, magari con una premialità se tale percorso si fosse chiuso con l’assunzione.
Ma ora più che mai, visti gli ultimi dati scoraggianti sul Pil e la crescita, siamo convinti che non si può perdere tempo in critiche, ma che bisogna costruire.

Per quanto attiene il reddito di cittadinanza, le Associazioni di categoria, come la nostra, per la loro storia e credibilità, possono svolgere una serie di ruoli che, come ci pare sia volontà del Governo, portino questa misura ad essere un veicolo per dare opportunità di lavoro e quindi di crescita.
Posto che il reddito di cittadinanza va attuato in sinergia con una riforma organica dei centri per l’impiego, le associazioni datoriali come Confapi, radicate sul territorio e profonde conoscitrici delle realtà produttive locali e dei loro bisogni, possono svolgere, ancor prima che tale riforma trovi il suo compimento, una funzione fondamentale per agevolare l’incontro tra offerta e domanda di lavoro: una vera e propria cerniera che può funzionare grazie alla credibilità, al radicamento e diffusione sul territorio.

Ci rendiamo difatti disponibili a collaborare fattivamente con le istituzioni preposte per realizzare questo obiettivo, fondamentale per una piena e giusta attuazione del reddito di cittadinanza. Abbiamo già un protocollo di collaborazione con ANPAL per avvicinare il mondo della scuola ai nuovi fabbisogni del mondo dell’impresa. Tale rapporto può ulteriormente rafforzarsi con nuovi compiti e obiettivi, anche per sostenere il reddito di cittadinanza come molla al lavoro e allo sviluppo. E’ questa, a nostro avviso, la strada da percorrere per far riacquistare credibilità a tali strutture, instaurando così sinergie con il mondo produttivo locale che ben conosce il territorio in cui opera, le relative carenze e i fabbisogni professionali.
Restando sul tema del reddito di cittadinanza, in merito ai percorsi formativi e di riqualificazione professionale che i beneficiari del reddito di cittadinanza dovranno sostenere, si parla di Enti di formazione accreditati. A nostro avviso la norma dovrebbe ricomprendere anche i nostri fondi di formazione interprofessionale che, possono diventare un valido strumento attraverso cui veicolare l’offerta formativa, vista la loro esperienza, flessibilità e consolidata efficacia nel costruire, in breve tempo, percorsi formativi all’avanguardia legati alle vere necessità produttive di ogni singolo territorio.

Oggi viviamo il paradosso di aziende che faticano a trovare, specialmente al Nord, manodopera specializzata, a fronte di tassi di disoccupazione giovanile tra i più alti in Europa.
Auspichiamo che, così come accade in altri Paesi europei, anche da noi vengano implementati piani strategici attraverso i quali si possa regolarmente monitorate e anticipare i fabbisogni, in termini di risorse umane, del mondo produttivo, in modo da orientare positivamente le scelte scolastiche e formative dei giovani.
Ci si dovrebbe anche muovere sulla falsariga del sistema duale tedesco in cui, negli istituti tecnici, ad esempio, vengono proposti tre anni di formazione-base uguale per tutti a fronte di un ultimo anno in cui è possibile, a seconda delle esigenze del mercato del lavoro interno, specializzarsi in discipline che favoriscano l’immediata entrata nel mondo del lavoro.
Non dimentichiamo che mai come oggi la crescita è possibile laddove si aumenta la competenza, laddove la scuola e la formazione rispondano ai reali bisogni della società.
Segnaliamo infine che numerosi sono i vincoli che l’impresa deve rispettare per la fruizione dell’agevolazione legata all’assunzione di un beneficiario di reddito di cittadinanza.

Ci preoccupa anche la previsione che vincola il beneficio al rispetto del regime de minimis. Difatti, numerose piccole e medie imprese, che nell’ultimo periodo hanno investito per essere competitive utilizzando gli incentivi legati, ad esempio a Impresa 4.0 o alla Sabatini ter, possano non poter utilizzare la misura poiché il limite triennale dei 200mila euro è stretto. E’ questo un aspetto su cui va fatta forse una riflessione più approfondita.
Ci permettiamo, inoltre, di segnalare che il vincolo sull’incremento occupazionale netto è eccessivamente stringente nella misura in cui il confronto viene effettuato sull’arco temporale medio dei dodici mesi precedenti. Dodici mesi, a nostro avviso, è un notevole arco temporale se riferito alle vicende aziendali. Pertanto proponiamo una rivisitazione del calcolo, assumendo come riferimento temporale i sei mesi precedenti o al massimo gli otto mesi.
Sotto altro profilo, riteniamo corretta l’opzione che parzialmente tramuta il reddito di cittadinanza, da misura prettamente assistenziale, ad incentivo destinato all’avvio di un’attività imprenditoriale autonoma. Tale opzione è in linea con il nostro pensiero e volontà della diffusione della cultura imprenditoriale -che ha caratterizzato l’Italia del Dopoguerra- e che molti dei nostri giovani, non certo per colpa loro, sembra non voler perpetuare.

Sappiamo che questa non è la sede, ma vogliamo esprimere la nostra condivisione della proposta, ventilata dal Sottosegretario al Ministero del Lavoro Durigon, di rivedere la disciplina del contratto a termine per adeguare le causali alle esigenze del mercato del lavoro. Da nostri studi si rilevava che, prima dell’entrata in vigore del Decreto dignità, almeno un 70% dei contratti a tempo determinato si tramutava a tempo indeterminato. Si trattava dunque di un valido strumento di accesso per i giovani al mondo del lavoro. Oggi lo scenario è cambiato. Le nostre imprese oggi, a fronte di questo ulteriore aggravio burocratico, sono molto più cauti che nel recente passato nell’introduzione di nuove risorse. Un aggiustamento della normativa sicuramente potrebbe giovare a dare un nuovo impulso al mercato del lavoro.
Sul rilevante tema delle pensioni, è bene considerare che l’attuale sistema previdenziale è a ripartizione: i lavoratori attivi, con i loro contributi, pagano le pensioni di chi è uscito dal mondo del lavoro. Un tale sistema può essere garantito solo se al centro delle azioni politiche di oggi c’è lo sviluppo industriale, la competitività e il lavoro. Senza il lavoro, senza la possibilità per i giovani di entrare in un circuito virtuoso, senza politiche industriali di ampio respiro, gli aggiustamenti al nostro sistema di welfare possono essere solo limitati.

Da quanto apprendiamo dalle nostre industrie, “Quota 100” sicuramente libererà dei posti di lavoro, ma non sempre determinerà un’automatica sostituzione di personale qualificato con nuove e giovani risorse. Andranno in pensione soggetti comunque qualificati in possesso di un background lavorativo importante e difficilmente sostituibile con chi si affaccia per la prima volta al mondo del lavoro. Il rischio che si prospetta è quello di lasciare dei vuoti di competenze.

Per supplire anche alle carenze del welfare statale dove inevitabilmente “la coperta è sempre più corta”, noi di Confapi abbiamo creato negli ultimi anni un solido sistema di 13 enti bilaterali che si occupano di formazione, di assistenza e sostegno al reddito, di previdenza complementare, sanità integrativa e anche di welfare attivo. Quindi, non solo enti che assicurano ai lavoratori di avere delle garanzie certe al momento della fuoriuscita dal mondo del lavoro, ma che offrono anche percorsi di riqualificazione professionale, di certificazione delle competenze, di assegnazione di borse di studio, favorendo così un rinserimento dei soggetti beneficiari sul mercato del lavoro.

In conclusione è necessario invertire questa spirale al ribasso, investire in nuove infrastrutture e nella manutenzione di quelle già esistenti, creare sviluppo, crescita e posti di lavoro, soprattutto per i giovani. L’essere entrati in recessione tecnica necessita, infatti, di azioni concrete per il lavoro che deve restare il vero denominatore comune e il motore dello sviluppo e della ripresa. Noi siamo pronti a collaborare e a dare il nostro contributo.